Il vino etrusco
Gli Etruschi coltivavano la vite fin dall’età del Bronzo, a partire dal XII sec. a.C. Le prime viti ad essere coltivate erano varietà selvatiche, che gli Etruschi vedevano nell’ambiente naturale e di cui avevano già imparato a raccogliere i frutti. Solo in un secondo momento, il contatto con i popoli del Mediterraneo orientale, soprattutto i Greci, permise loro di importare nuovi attrezzi e modalità di lavoro, ma anche nuovi vitigni di origine orientale, che vennero coltivati tal quali ma anche incrociati con le varietà locali. Le viti erano “maritate”, cioè venivano fatte crescere appoggiate su pioppi, aceri, olmi, ulivi ed alberi da frutto. All’epoca degli Etruschi la viticoltura non era un’attività specializzata e quindi le vigne erano promiscue con altre colture, come cereali, ulivi, alberi da frutta ed altro. Gli Etruschi pigiavano l’uva con mani e piedi in pigiatoi detti palmenti, scavati in affioramenti rocciosi naturali situati in prossimità dei luoghi dove si trovavano le viti selvatiche o realizzati nelle vigne all’epoca delle prime coltivazioni. Il primo mosto veniva in genere consumato subito, mentre il restante veniva versato in contenitori di terracotta con le pareti interne coperte di resina o pece. Il vino veniva lasciato riposare e a primavera era decantato e versato in anfore o otri di pelle per il trasporto. Molto consumato durante le celebrazioni e banchetti, il vino veniva diluito con acqua, fredda o calda a seconda delle stagioni, ma anche aromatizzato ed addolcito, per coprire i difetti dovuti alle limitate tecniche produttive e di conservazione, con miele, erbe, fiori, spezie (come il timo, la salvia, il rosmarino, il coriandolo e l'anice), resine (comunemente di pino). Il vino resinoso, noto come "retsina", è ancora prodotto e apprezzato oggi, soprattutto in Grecia. Il miele era aggiunto al vino, sia per aumentarne la dolcezza che per favorire la fermentazione, creando un prodotto simile all'idromele.